Rivivi le più belle idee di Leonardo da Vinci
29 Gennaio 2017

Leonardo da Vinci

Leonardo da VinciLeonardo da Vinci è il più grande genio di tutti i tempi. Come artista probabilmente deve condividere il primato con altri, ma nell’insieme le numerose discipline che lo hanno visto impegnato con successo: pittura, scultura, architettura, poesia, scenografia, matematica, anatomia, geologia, geografia, idraulica, meccanica, cartografia, musica… ecc., rendono il suo primato assolutamente inattaccabile. È vero che così sintetizzati i campi dell’ingegno umano che lo hanno visto primeggiare, non rendono l’idea di ciò che fu ed è ancora oggi, ma se si ha la pazienza di approfondire un po’ l’argomento, per esempio quello delle invenzioni, o delle idee, ci rendiamo subito conto di avere a che fare con un uomo straordinario. Nell’arco della sua lunga vita progettò di tutto: macchine da guerra di vario tipo, elicotteri, astronavi, cannoni a sparo multiplo, aeroplani, mitraglie, tute da sub, paracadute, robot, ponti mobili, carri armati, scale a chiocciola…
Per un personaggio così non ci dovrebbe essere bisogno di alcuna presentazione, ma qualche dubbio ci è venuto dopo aver sentito un concorrente, in una delle tante trasmissioni televisive a premi, rispondere «L’aeroporto di Fiumicino» alla domanda: «Chi era Leonardo da Vinci». Se fosse stata una battuta, sarebbe stata geniale, quasi come Leonardo. Purtroppo non lo era e, quindi, qualche nota, per quanto superficiale, si rende necessaria.

Leonardo nacque nel 1452 a Vinci, un piccolo borgo ad una cinquantina di chilometri da Firenze ed a qualche chilometro in più da Pisa. La zona, molto bella, è caratterizzata da dolci e romantiche colline che devono aver avuto una certa influenza sul giovane notaio Piero, il quale, sebbene felicemente sposato, subì il fascino del paesaggio circostante, e quello di una florida contadinella del luogo, la quale, oltre a rispondere al nome di Caterina, rispose anche, e con focoso entusiasmo, al richiamo amoroso del giovane Piero.
Fu così che nacque Leonardo.
Il notaio Piero non si sottrasse ai suoi doveri di padre, e come prima cosa costrinse un suo contadino, tale Piero del Vacca da Vinci, detto “-Attaccabrighe”, a sposare Caterina, e poi si preoccupò dell’istruzione del bambino. L’idea era di farlo diventare notaio, per poi lasciargli lo studio di famiglia, che Piero aveva ricevuto dal padre Antonio il quale, a sua volta, l’aveva ricevuto dal proprio padre… Ma il piccolo Leonardo, pur dimostrando un’intelligenza fuori del comune, non gradiva lo studio di una sola materia. Era molto irrequieto: tutto lo interessava, di tutto voleva sapere e tutto voleva approfondire. Un carattere che mise in difficoltà un maestro dietro l’altro. Ma soprattutto il ragazzo disegnava, e lo faceva mirabilmente. Disegnava ogni cosa: paesaggi, piante e persone. Se veniva colpito dall’aspetto di un passante lo seguiva per una decina di minuti, poi si fermava e ne disegnava la caricatura in men che non si dica.
Messer Piero fu costretto a prendere atto delle attitudini del figlio e, molto a malincuore, rinunciando all’idea di vederlo un giorno notaio, lo spedì a Firenze “a bottega” dal Verrocchio.
Al tempo andare a bottega da un artista voleva dire studiare tutte le materie inerenti l’arte: dalla preparazione dei colori (partendo dallo studio della chimica dei materiali, e della geologia), all’assemblaggio delle tele e delle tavole (iniziando dalla scelta del legno e del modo di tagliarlo, per poi passare alle tecniche di falegnameria più raffinate); per non dire della complicata costruzione dei pennelli. Poi c’era il reparto scultura: su pietra, marmo, terracotta, metalli, ecc. Tutto ciò, non solo lo si studiava, ma lo si faceva in pratica.
La bottega del Verrocchio, nella quale stanziavano soggetti del calibro di Botticelli, il Ghirlandaio e il Perugino, era una delle più famose di Firenze e quindi, al tempo, del mondo.
Leonardo era un ragazzo sveglio, capì subito che la filosofia, la matematica e le discipline di pensiero in genere si apprendono studiando sui libri, mentre quelle che prevedono un intervento manuale si imparano rubando con gli occhi ai maestri. E siccome la bottega del Verrocchio abbondava di maestri, di tutti i generi, il giovane Leonardo imparò molto velocemente, tanto da indurre il Verrocchio a metterlo alla prova. E così una sera, prima di uscire, disse al ragazzo di esercitarsi nel disegno, e di fare lo schizzo di un angelo, sulla base dei due che lui aveva quasi terminato sulla tavola del “Battesimo di Cristo” (un olio e tempera su tavola di 180 x 150 cm) destinato al monastero vallombrosano di San Salvi in Firenze.
La consegna dell’opera era stabilita per il giorno seguente ma Andrea di Cione, detto “il Verrocchio”, non era “punto” soddisfatto. Aveva seguito con rigore le indicazione ricevute dai teologi del monastero. L’impianto scenico era perfetto: un paesaggio rilassante ma non invasivo, nel quale il fiume Giordano scorreva diritto in direzione dell’osservatore, per colpirlo al cuore. La composizione a triangolo indirizzava lo sguardo verso Dio Padre colto nel momento in cui inviava lo Spirito Santo, sotto forma di colomba circondata da raggi dorati. O per meglio dire, si vedono solo due mani aperte, che hanno appena permesso alla colomba di liberarsi, mentre il volto dell’Eterno è riprodotto riflesso nell’acqua della ciotola che si trova in mano al Battista. Un’invenzione strepitosa che i buoni monaci avrebbero sicuramente apprezzato, al pari della forte verticalità centrale che rafforza il concetto di unità della Trinità. Era tutto perfetto, ma non era soddisfatto. I due angeli sembravano far parte di un’altra scena. La loro presenza era dettata da esigenze compositive. Il monaco teologo ne aveva richiesto uno (ed in volo). Lui lo aveva messo a terra perché altrimenti avrebbe squilibrato la composizione ed a quel punto ne aveva dipinti due perché uno solo avrebbe creato confusione con il concetto della Trinità. Però non era risuscito a farli dialogare tra loro. Si guardavano imbambolati. Mancavano di spontaneità: specialmente il primo a sinistra.
Prima di uscire ripeté al ragazzo di fare una prova e gettò un ultimo sguardo al quadro:
«Non ci siamo», disse sconsolato.
Il mattino seguente, quando entrò in bottega, trovò il ragazzo addormentato su un pagliericcio vicino al dipinto, sul quale l’angioletto accanto a Gesù guardava con la stessa aria stupita del Verrocchio l’altro angioletto. In una sola notte, Leonardo aveva “grattato” l’angioletto meno bello e dipinto al suo posto un angelo dal volto veramente angelico.
Fuori della bottega, in strada, la gente lo sentì urlare:
«OK, ho capito, attacco il pennello al chiodo!»
Non disse proprio queste parole, ma il concetto sembra fosse proprio questo.

Leonardo diventò famoso in poco tempo. Fu presso la corte di Firenze, successivamente presso quella di Ludovico il Moro di Milano e poi vagò qua e là per tutta la penisola. In tarda età si trasferì in Francia, chiamato ed accolto a braccia aperte dal Re Francesco I ed osannato da tutta la popolazione: anche allora i migliori cervelli, quando non ne potevano più, se ne andavano all’estero.
Morì nel castello di Amboise, nella valle della Loira, nei pressi di Tours, il 2 maggio 1519.

 

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